Spazionovecento 2020
XLI edizione
Sala della Camerata di Cremona
domenica 25 ottobre 2020, ore 11
“Beethoven250”
Gruppo Musica Insieme di Cremona
Eleonora Filipponi, mezzosoprano
Daniela Cima, flauto
Giacomo Invernizzi, violino
Wim Janssen, viola
Andrea Nocerino, violoncello
Leonardo Zunica, pianoforte
Chansons madécasses (Evariste Parny) NAHANDOVE Nahandove, ô belle Nahandove! L’oiseau nocturne a commencé ses cris, la pleine lune brille sur ma tête, et la rosée naissante humecte mes cheveux. Voici l’heure qui peut t’arrêter, Nahandove, ô belle Nahandove! Le lit de feuilles est préparé; je l’ai parsemé de fleurs et d’herbes odoriférantes; il est digne de tes charmes, Nahandove, ô belle Nahandove! Elle vient. J’ai reconnu la respiration précipitée que donne une marche rapide; j’entends le froissement de la pagne qui t’enveloppe, c’est elle, c’est Nahandove, la belle Nahandove! Reprends haleine, ma jeune amie; repose-toi sur mes genoux. Que ton regard est enchanteur! Que le mouvement de ton sein est vif et délicieux sous la main qui te presse! Tu souris, Nahandove, ô belle Nahandove! Tes baisers pénètrent jusq’à l’âme; tes caresses brûlent tous mes sens; arrête, ou je vais mourir. Meurt-on de volupté, Nahandove, ô belle Nahandove! Le plaisir passe comme un éclair. Ta douce haleine s’affoiblit, tes yeux humides se referment, ta tête se penche mollement, et tes transports s’éteignent dans la langueur. Jamais tu ne fus si belle, Nahandove, ô belle Nahandove! Que le sommeil est délicieux dans les bras d’une maitresse: moins délicieux pourtant que le réveil. Tu pars, et je vais languir dans les regrets et les désirs. Je languirai jusqu’au soir. Tu reviendras ce soir, Nahandove, ô belle Nahandove! AOUA! Méfiez-vous des blancs, habitants du rivage. Du temps de nos pères, des blancs descendirent dans cette île. On leur dit: Voilà des terres, que vos femmes les cultivent; soyez justes, soyez bons et devenez nos frères. Les blancs promirent, et cependant ils faisaient des retranchements. Un fort menaçant s’éleva; le tonnerre fut renfermé dans des bouches d’airain; leurs prêtres voulurent nous donner un Dieu que nous ne connoissons pas; ils parlèrent enfin d’obéissance et d’esclavage. Plutôt la mort! Le carnage fut long et terrible; mais malgré la foudre qu’ils vomissoient, et qui écrasoit des armées entières, ils furent tous exterminés. Méfiezvous des blancs. Nous avons vu de nouveaux tyrans, plus forts et plus nombreux planter leur pavillon sur le rivage. Le ciel a combattu pour nous. Il a fait tomber sur eux les pluies, les tempêtes et les vents empoisonnés. Il ne sont plus, et nous vivons, et nous vivons libres. Méfiez-vous des blancs, habitants du rivage. IL EST DOUX… Il est doux de se coucher, durante la chaleur, sous un arbre touffu, et d’attendre que le vent du soir amène la fraîcheur. Femmes, approchez. Tandis que je me repose ici sous un arbre touffu, occupez mon oreille par vos accens prolongés. Répétez la chanson de la jeune fille, lorsque ses doigts tressent la natte, ou lorsqu’assise auprès du riz, elle chasse les oiseaux avides. Le chant plaît à mon âme. La danse est pour moi presque aussi douce qu’un baiser. Que vos pas soient lents; qu’ils imitent les attitudes du plaisir et l’abandon de la volupté. Le vent du soir se lève; la lune commence à briller au travers des arbres de la montagne. Allez, et préparez le repas. |
Canzoni malgasce NAHANDOVE Nahandove, o bella Nahandove! L’uccello notturno ha cominciato le sue grida, la luna piena brilla sul mio capo, e la rugiada nascente mi bagna i capelli. Ecco l’ora che può fermarti, Nahandove, o bella Nahandove! Il letto di foglie è pronto; l’ho coperto di fiori e d’erbe odorose; è degno delle tue grazie, Nahandove, o bella Nahandove! Ella viene. Ho riconosciuto il respiro precipitoso che dà il passo rapido; sento il fruscio del cinto che t’avvolge, è lei, è Nahandove, la bella Nahandove! Riprendi fiato, mia giovane amica; riposati sui miei ginocchi. Com’è incantevole il tuo sguardo! Com’è vivo e delizioso il movimento del tuo seno sotto la mano che ti tocca! Tu sorridi, Nahandove, o bella Nahandove! I tuoi baci penetrano fino all’anima; le tue carezze bruciano tutti i miei sensi: fermati, o muoio. Di voluttà si muore, Nahandove, o bella Nahandove! Il piacere passa come un lampo. La tua dolce lena s’indebolisce, i tuoi occhi umidi si richiudono, la tua testa si piega mollemente, e i tuoi trasporti si spengono nel languore. Mai fosti così bella, Nahandove, o bella Nahandove! Com’è delizioso il sonno fra le braccia di un’amante: pure meno delizioso del risveglio. Tu parti, ed io prendo a languire nei rimpianti e nei desideri. Languirò fino a sera. Ritornerai stasera, Nahandove, o bella Nahandove! AOUA! Guardatevi dai bianchi, abitanti della riva. Al tempo dei nostri padri, scesero in quest’isola dei bianchi. Gli si disse: Ecco alcune terre, che le vostre donne le coltivino; siate giusti, siate buoni, e diventate fratelli nostri. I bianchi promisero, e tuttavia facevano trinceramenti. Un forte minaccioso venne eretto; il tuono fu rinchiuso in bocche di bronzo; i loro preti vollero darci un Dio che non conosciamo; essi parlarono infine d’obbedienza e di schiavitù. Piuttosto la morte! La strage fu lunga e terribile: ma malgrado la folgore che vomitavano, e che schiacciava intere armate, furono tutti sterminati. Guardatevi dai bianchi. Abbiamo visto nuovi tiranni, più forti e più numerosi, piantare il loro padiglione sulla riva. Il cielo ha combattuto per noi. Ha fatto cadere su loro le piogge, le tempeste e i venti impestati. Essi non sono più, e noi viviamo, viviamo liberi. Guardatevi dai bianchi, abitanti della riva. COME È DOLCE… È dolce stendersi, durando il caldo, sotto un albero frondoso, ed aspettare che il vento della sera porti la frescura. Donne, avvicinatevi. Mentre mi riposo qui sotto un albero frondoso, occupate il mio orecchio con i vostri accenti prolungati. Ripetete la canzone della fanciulla, quando le sue dita intrecciano la stuoia, e quando seduta presso il campo di riso caccia gli avidi uccelli. Il canto piace all’anima mia. La danza è per me dolce quasi come un bacio. Che i vostri passi siano lenti; ch’essi imitino gli atteggiamenti del piacere e l’abbandono della voluttà. Il vento della sera si leva; la luna comincia a brillare attraversa gli alberi della montagna. Andate, e preparate la cena. |
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Tra colto e popolare
Una parte non piccola ma poco nota del catalogo delle opere di Beethoven è
costituita da 155 canzoni popolari arrangiate per una o più voci, violino, violoncello e
pianoforte. Si tratta per la maggior parte di canzoni scozzesi, irlandesi e gallesi, ma
anche dall’Ucraina, dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Svezia, dal Tirolo e dall’Italia:
fra queste ultime anche La biondina in gondoleta.
Nate da una richiesta dell’editore scozzese George Thomson (già amico di Haydn), il
lavoro non fu solo un’occasione di guadagno, ma rivela un reale interesse da parte di
Beethoven per la musica popolare, confermato da altri importanti esempi, dai ‘temi
russi’ dei Quartetti Razumovskij a sporadiche incursioni come la Polacca della
Serenata op. 8. Un interesse che ha sicuramente a che fare anche con il tema
dell’Inno alla gioia, costruito secondo un modello evidente di semplice melodia
popolare. Quasi che studiando quel repertorio Beethoven cercasse il ‘segreto della
semplicità’, per raggiungere l’umanità intera partendo da un tema che tutti potevano
immediatamente comprendere e che fosse poi mediatore di messaggi di arte
suprema. A parte ciò, il lavoro di trascrizione e armonizzazione creò non pochi
problemi a Beethoven, proprio per la caratteristica irriducibilità di molte canzoni alle
classiche strutture tonali, come più tardi sarà evidente anche nelle analoghe
trascrizioni di Brahms.
A partire da alcune di queste canzoni il programma del concerto odierno segue
proprio le tracce del rapporto fra musica d’arte e musica popolare. Rapporto che
nella storia della musica è come un torrente sotterraneo che ogni tanto emerge alla
superficie, dalle canzoni dei trovatori alle canzoni napoletane di Lasso, dalle danze
delle suites di Bach alle zingarese di Haydn. Di certo dal romanticismo in poi il tema
del rapporto con la cultura popolare sarà centrale per molti musicisti, intersecandosi
con temi politici di autonomia nazionale.
Proprio la ‘non tonalità’ della musica popolare che aveva dato qualche grattacapo a
Beethoven ispirerà la musica di Bartók, che peraltro fu uno dei primi a studiarla in
modo scientifico, e le relazioni con il folklore balcanico saranno alla base tanto di
molte opere didattiche (fra cui i Duetti per due violini) quanto di opere colte quali la
Sonata per violino solo, che in una versione alternativa sperimenterà anche i quarti di
tono dedotti dalla musica popolare slovena.
Nessuna citazione musicale diretta, ma solo testuale, per le Canzoni malgasce di
Ravel, in cui le tematiche di opposizione alla cultura degli invasori bianchi trovano
un’espressione fra le più alte del compositore francese. Volendo trovare dei nessi
specificamente musicali, si potrà prestare attenzione a certi pizzicati del violoncello
che sembrano evocare tamburi africani, o alle melodie del canto accompagnate dal
flauto che richiamano melopee popolari.
Il programma è completato da un brano in prima esecuzione di Corrado Rojac,
Polvere e pece, che ha con la musica popolare un rapporto reale pur se indiretto,
filtrando in trasparenza fantasmatiche citazioni del trio Dumky di Dvořák, che a sua
volta alludeva alla musica boema. Si tratta dunque di una citazione al quadrato che si
traduce in suoni sussurrati strappati al silenzio, estremo tentativo – azzardiamo – di
recuperare un lirismo perduto.